"... Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l'ingresso. Ma essi non vollero riceverlo..."
Il Vangelo è l'epopea dei fallimenti di Cristo, il racconto particolareggiato delle incomprensioni che subì, dell'incredulità che destava, dello scompiglio che portava, dell'ingratitudine che lo circondava.
La retorica del "Cristo applaudito" è una costruzione mitico/letteraria, molto "conveniente", non solo per la Chiesa di oggi, ma già per gli autori evangelici. Basti pensare che il "re" che entra a Gerusalemme, circondato dalle acclamazioni della gente, è incomprensibile alla luce di ciò che accadeva poco tempo prima (fu costretto a fuggire dal tempio e a rifugiarsi a Betania "per paura dei Giudei"), e visto cosa accadde poco tempo dopo: un doppio processo e una orribile condanna.
Pertanto, tra le righe, siamo chiamati a leggere altro.
Non certamente che la gloria arriva solo attraverso la sofferenza e la morte. Questo è vittimismo.
Piuttosto, nella mia preghiera, risulta chiara la solidarietà estrema con i perdenti di questo mondo. Non per pietà, compassione o "desiderio" di sconfitta, ma perché parlare al cuore dell'uomo fu e rimarrà una delle cose più difficili al mondo.
Gli "ultimi" incontrano disprezzo, insofferenza. Sono "problema sociale", "patata bollente".
Cristo non era un "primo", un "vincente". Era un "ultimo", accanto agli "ultimi" perché difficile era la strada che aveva scelto di perseguire: parlare al cuore dell'uomo. E parlargli dal suo cuore, mettendolo a repentaglio.
Anche oggi, tanti, scelgono questa strada. Dal mendicante, al girovago, al giovane che sceglie i paradisi artificiali del sesso, dello sballo, di ogni mania possibile... Tutti disperati, mossi, spesso, in prima istanza, dal desiderio di parlare al cuore e di essere ascoltati e accolti nel cuore.
La fine di tanti di questi è brutta, perché il linguaggio del cuore, pur semplicissimo nella sua "grammatica", è duro nella predisposizione che richiede e nelle prospettive "svantaggiose" a cui apre.
Ci vuole coraggio e determinazione per parlare al cuore e con il cuore.
Quando il cuore viene ferito nel suo aprirsi, nel suo sbocciare, tanti, quasi tutti, cadiamo negli errori dell'insignificanza e dell'autodistruzione.
Nel caso di Cristo, no. Fino alla fine, parlò col cuore e ai cuori, non perdendo di vista la meta (l'uomo) e non deviando verso lo sconforto. Tra i disperati, viene da dire, che fu "l'eccellente", perché accolse e vinse la disperazione stessa, fino in fondo. Fino alla fine.
Quanti sentono, sperimentano, il fallimento nella vita, si aprano a questo compagno. Che precede, accompagna, segue i loro stessi passi.