"... Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio..."

9/10/20241 min leggere

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Come pensare questa preghiera tra "Dio e Dio"?

Secondo il linguaggio di Cristo stesso, saremmo portati a pensare che si tratti di un figlio che si rivolge al padre.

Ma dobbiamo confrontarci con una evidenza: in quanto uomo, anche Cristo vive immerso in un "campo linguistico" limitato, incapace di esaurire l'assoluto.

Se pensassimo che il "linguaggio" di Cristo fosse sufficiente a definire (quindi, esaurire) la divinità, allora quel Dio raccontato da Cristo non sarebbe più "Dio, l'assoluto". Oppure, all'opposto, Cristo non sarebbe più "vero uomo". Né, ancora oltre, il suo "linguaggio" sarebbe, per noi, accessibile.

Abbiamo bisogno di uscire dalla narrazione per costruire griglie ermeneutiche che abbiano senso, in questi casi.

Così, ammettiamo che è certamente vantaggioso pensare Dio come un "Tu" innanzi a me. Ma è parziale.

Mi risulta più coerente pensare questo "Totalmente Altro" come la parte più vera ed autentica di me. "Trovare Dio" diventa "trovare me stesso" nella verità più profonda e intima di me. E, allo stesso tempo, intuire questo "me" come assolutamente trasceso, superato dalla sovrabbondanza della divinità.

Gesù, "pregando Dio", cresce nella coscienza di sé, e, a sua immagine, anche noi, nella preghiera, ci immergiamo dentro lo stesso fiume, lo stesso circuito di consapevolezza e presenza a noi stessi.

La "Preghiera del Signore", così come lo è per noi, diventa la stanza dentro la quale lasciare emergere la parte più vera e genuina di noi.

Questo passaggio diventa centrale per ogni sano e serio discernimento.