"... «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare..."
Occhio. Penseremmo subito, e non senza ragioni, che ciò viene detto alle autorità religiose.
Se guardo alla mia esperienza, tra uomini pii e donne pie, anche senza alcuna autorità, spesso, ho trovato enorme supponenza in materia di fede e, soprattutto, purtroppo, di morale.
Ne ho fatto le spese anch'io, in tante circostanze e, oggi, in modo particolare...
Ma voglio spostare l'attenzione su quegli atteggiamenti che, in fondo, un po' tutti i credenti sperimentiamo, in un qualche momento della nostra vita: la certezza che il Dio che adoriamo sia il "vero" Dio.
Quando ciò accade, in dialoghi anche pacifici, in conferenze, celebrazioni ecumeniche o interreligiose, etc..., in tutte quelle circostanze in cui si afferma che "essere se stessi pienamente è l'unico modo per potere riconoscere e rispettare la diversità dell'altro", in realtà si riafferma la certezza per la quale "il mio Dio è quello vero".
Quando non sono capace di interrogarmi e mettermi in discussione di fronte alla diversità dell'altro, l'efficacia del confronto viene neutralizzata. Non il confronto in sé (quello prosegue senza problemi, "di facciata", per pura "propaganda"...), ma la sua efficacia.
Un confronto dal quale non si esce trasformati, migliori... un confronto che non determini una trasformazione del reale mio e dell'altro... diventa sterile. Inutile. Insignificante.
Convergere verso un "punto omega" o, se volete, verso "l'essere un solo pane e un solo corpo", impone che la farina smetta di essere farina, che l'acqua rinunci al suo essere cristallina, che il lievito si disperda nell'impasto, che il sale si sciolga... e tutto questo affinché si faccia "un solo pane".
"Siate una cosa sola, come il Padre in me, io in lui...": il vero rispetto dell'alterità non comporta assumere la diversità dell'altro, omogeneizzarsi a lui, ma, con lui, con l'altro, essere disposti a e capaci di diventare, insieme, "altri", "Altro".
Un "Altro" irriducibile a ciò che noi diciamo o pensiamo di lui, già soltanto perché il nostro pensiero e il nostro linguaggio sono condizionali, mentre l'Assoluto è l'Assoluto!
Un "Noi" non è mai la somma di due "Io" che pretendono di rimanere tali. Un "Noi" ci cambia dentro. E lo fa per sempre.