"... «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite: Padre..."


Gesù era andato da solo a pregare.
Nel dare istruzioni ai suoi discepoli, però, parla al plurale ("dite"). E gli stessi discepoli rivolgono a lui la loro richiesta al plurale ("insegnaci").
Che la preghiera, prima che un atto personale, debba essere un fatto comunitario? È una domanda legittima.
Ma non solo.
Non viene detto "pregate dicendo...", come se il cuore della preghiera siano le esatte parole da lui pronunciate.
La "preghiera" è l'unità più ampia. All'interno della quale, se servono parole, Cristo suggerisce e consegna quelle che, abitualmente, rivolgiamo al "Padre".
Pregare, quindi, non è "dire preghiere".
Con buona pace di quanti/e non riescono ad andare oltre la "recita" (sic!) del Rosario o le formule standardizzate, impersonali e algide delle nostre liturgie e dei relativi messali.
C'è un "di più" che una certa idea di Tradizione ha sempre voluto mettere a tacere.
In questo modo, tanto la ricerca interiore come il dialogo con "l'ulteriorità di Dio" risultano ridotti alle mere formulette, da imparare a memoria.