"... Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio... "


Basterebbe, nella vita delle comunità, mettere al centro ciò che merita di stare al centro, e misurare tutte le cose a partire da questo nucleo centrale.
Evitare di occupare il centro con "ciò che so fare bene" e con "ciò che tutti lodano", per recuperare quanto è più necessario, badando al bene maggiore di quanta più gente è possibile.
Ci si sofferma su cavilli banali, invece. Ci si esercita dialetticamente su roba secondaria.
Si lucidano statue, stucchi e quadri, investendo denaro, e, magari, non si bada alle povertà sociali e culturali della gente del quartiere.
Ogni intervento andrebbe studiato sulla base di una analisi sociale seria. E, in quel contesto, anche la bellezza avrebbe la sua parte.
Trasformare un parcheggio antistante una Chiesa, ad esempio, in una bella piazza è certamente una iniziativa lodevole, ma sono stati esaminati i bisogni del territorio per dare un ordine di priorità agli interventi? È stato misurato il tasso di disoccupazione giovanile e sono stati promossi progetti di sviluppo per la collettività, sulla base dei suoi bisogni concreti?
Quattro anni fa, deportato in Sicilia dalle cose della vita, fui rinchiuso in una canonica ristrutturata l'anno prima. Quell'inverno fu un incubo. Entrava acqua dappertutto. Gli infissi, nuovissimi, si staccavano a pezzi. I tubi di scolo delle grondaie si fermavano a metà parete, inspiegabilmente, e la pioggia si riversava interamente in casa. Mi dissero che gli interventi compiuti erano costati centinaia di migliaia di euro. E, per colmo, quando furono messe le pezze necessarie per poterci vivere, ponendosi il problema della crisi ucraina, mi fu proibito di usare quegli spazi (interamente vuoti) per l'accoglienza di migranti e rifugiati.
Queste sono le contraddizioni che non capisco e non capirò mai.
E se guardo al numero sempre decrescente di preti e alla denatalità e agli spazi che, progressivamente, si liberano nelle strutture parrocchiali mi si stringe il cuore a pensare che facciamo ancora dormire gente in strada.
Cosa viene prima: tirare a lucido un bel salone, una bella sacrestia, una bella palazzina da tenere rigorosamente vuoti o impiegare quegli spazi per dare posto, faccio un esempio, a giovani coppie che faticano a pagarsi un affitto?
In un bilancio parrocchiale, quanto viene investito nella cura dei poveri della comunità? Come? Attraverso quali progetti di sviluppo?
Pensiamo davvero che un maglioncino di seconda mano e un sacchetto di spesa bastino in vista dello sviluppo e della realizzazione umana di chi vive situazioni di difficoltà e precarietà?
Pur apprezzando tutto il bene che tante realtà ecclesiali riescono a generare, continuo a chiedermi a quali bisogni si stia dedicando spazio, tempo, importanza e come siano stati raccolti dati e prodotti modelli su queste materie.
E, soprattutto, quale sia il grado di conoscenza che le comunità hanno di ciò che viene proposto e di come vengano investiti tempi, risorse, disponibilità che pure, generosamente, sono messe a servizio.
Cosa sta al centro della nostra azione sociale e politica in quanto comunità cristiane inserite in un territorio?
Catechismo, messe e processioni?
E un asilo nido, una RSA per anziani poveri, una serie di corsi professionali gratuiti, un monitoraggio del territorio per riqualificare spazi divenuti discariche, una serie di convegni sulle tossicodipendenze diffuse sul territorio... Tutte queste cose non c'entrano con la vita di una comunità cristiana?
E chi decide cosa fare e come e quando?
Quali sono gli spazi "sinodali" in parrocchie il cui bilancio resta ignoto e gestito autoreferenzialmente da chi ha "potere di firma"?
Boh!