"... Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: “Misericordia io voglio e non sacrifici”..."


... e, invece, in tanti contesti ecclesiali (fortunatamente, non più in tutti!), ad essere messi alla porta sono esattamente "i malati" (o i supposti tali...). Viene davvero voglia di chiedersi "Perché?"
E la questione, a mio avviso, sta proprio nel dialogo con il diverso, l'altro. Una alterità, qualunque essa sia, mi costringe a riplasmarmi, a rimodellarmi, o, quantomeno, a riflettere su ciò che sono.
E questo è già molto scomodo.
Ma c'è un di più, purtroppo. Ed sta nel carattere pratico di questa esperienza.
Chi è stato allontanato (o si è percepito "cacciato"...), adesso, va cercato lì dove sta. Ma chi ci va? Chi ha questo tempo? I parroci sepolti dalle loro scartoffie, quando già non dedicati ad altre professioni (generalmente - bisogna dirlo! - più remunerative del solo Sostentamento Clero...)?
O ci vanno i catechisti? O ci vanno i laici, il sabato sera, in birreria, a parlare dell'amore di Dio, anche semplicemente con il loro solo comportamento? O, ancora, organizziamo "l'evangelizzazione di piazza", correndo il rischio (o, forse, avendo la certezza!) della ridicolaggine e della banalizzazione dello stesso messaggio che vogliamo trasmettere?
Chi ha questo tempo, questa voglia e le competenze/attitudini necessarie?
Inoltre, quand'anche i "marginalizzati" tornassero a riaffacciarsi lì dove le comunità sono presenti e attive, quali energie avremmo per mettere a loro disposizione spazi e tempi personalizzati, supporto e sostegno adeguato alle esigenze di ciascuno?
Siamo davvero distanti dal "Gesù leggero", che camminava senza bisaccia, sedendosi a tavola con peccatori e prostitute!
Abbiamo strutture "pesanti", regole farraginose, tempi centellinati, attività catechetiche assolutamente auto-centrate, etc...
Sorprende qualche (rarissima) mosca bianca...
Il "Gesù leggero", che sempre mi ha affascinato e che ho scelto di seguire, destrutturava e deistituzionalizzava. Mordeva il freno dei limiti del Tempio e della religiosità a lui contemporanea. Infrangeva regole costantemente, specialmente quella del "sabato".
Ricordiamoci sempre che il Nazareno dei Vangeli era, innanzitutto, un pio israelita e un "rabbi", un maestro "girovago" che non disdegnava affatto la preghiera nei luoghi "ufficiali" della fede. Ma ne conosceva bene i limiti. E contestava apertamente ciò che reputava ingiusto. Non cacciava la testa sotto la sabbia.
Fu processato e condannato "stando dentro" le istituzioni religiose alle quali apparteneva e dalle quali era considerato come un "cancro", da "estirpare" per salvare tutto il "corpo".
La prossimità agli "ultimi" e ai marginalizzati gli costò la vita.
Un "carrierismo al contrario" il suo... contro tanti altri "carrierismi" che mi vengono in mente, ma non scrivo qui, per pudore...