"... Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro..."

9/13/20241 min read

woman in black shirt wearing sunglasses
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Un tempo, pensavamo che apprendere significasse imparare a memoria e ripetere "a pappagallo". Questo è vero a tal punto che, in certe culture e lingue, gli stessi docenti universitari sono chiamati "lettori".

Oggi, con maggiore determinazione, affermiamo che quella dell'apprendimento, necessariamente, deve essere una avventura personale e singolarissima, sebbene vissuta in un gruppo. Sappiamo che esistono diversi tipi di "intelligenze", che i metodi di studio sono personalizzati, che il vero apprendimento ha come punto di approdo non l'onniscienza ma la capacità di sapere dove cercare le risposte giuste alle domande che, via via, si impongono.

Affermiamo anche che la prova del nove di un buon apprendimento consista nel possesso di conoscenze interiorizzate e rielaborate personalmente fino a sviluppare competenze e capacità che rispondano a problemi specifici intraprendendo itinerari originali ed efficaci.

Oggi, la varietà delle risposte è considerata valore.

Un sapere dogmatico e non modellabile, non rivedibile, statico non viene considerato neppure sapere.

Quale vantaggio sarebbe per la Chiesa e per ogni religione "del marmo" accedere ad una visione simile? Che vantaggio ne avrebbe la catechesi? E la liturgia, laddove ogni comunità potesse sviluppare le proprie forme espressive, indipendentemente dalla ripetitività ossessivo-compulsiva che le ha caratterizzate per secoli?

Quale vantaggio avrebbe la legittimazione della singolarità e della relatività di ogni esperienza del divino, a partire da una "storia del dogma" che sia "itinerario" e non "stato", "trampolino" e non "recinto"?

Il discepolo non è tale se "scimmiotta" il maestro. Il discepolo deve fare il suo cammino di preparazione e di apprendimento. Allora sarà come il maestro.