"... Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo (...) disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!»..."


Indipendentemente dalla guarigione dell'uomo ammalato, c'è da riflettere, ancora una volta, sullo stile di Gesù.
Siamo in sinagoga. Luogo della fede e del culto.
Vi alberga, però, il male: l'ammalato è tale, secondo quella mentalità, per il suo peccato o per quello della sua famiglia. Infatti, nasconde la ferita. Se ne vergogna, come sempre ci si vergogna del male.
Ma quel male non guarito, non accudito, racconta di un altro limite, ben più grande: quello dell'intera comunità di fede, che nasconde, nelle cattive intenzioni, altro male, altra morte. Ed è, per questo, incapace di guarire chi, al suo interno, soffre.
L'umanità piena, matura, in Cristo, porta allo scoperto, apre al dialogo, chiama le cose con il loro nome.
E sventa le contraddizioni dei cuori, di cui la mano paralizzata è solo metafora.
Quanto accade nei luoghi fisici dello Spirito dice ciò che accade nell'altro Tempio, quello della vita umana.
Non ci piace chiamare le cose con il loro nome. Non ci piace che l'ombra che è in noi venga a galla. E le nostre contraddizioni non trovano mai sollievo.
L'esercizio pienamente spirituale di guarigione interiore ci invita, intanto, a generare silenzio. Questo silenzio lascia emergere quella parola che dà nome alla tenebra che portiamo dentro. E, così facendo, portando luce, definisce i contorni, i limiti, le forme di ciò ci imbratta e sporca. Mette in mezzo ciò che, abitualmente, rimane nascosto.
E, lentamente, guarisce.